Inammissibilità Appello: Requisiti Ricorso Cassazione
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Inammissibilità Appello: Requisiti Ricorso Cassazione

La Corte di Cassazione, con l'Ordinanza n. 2649 del 4 febbraio 2025, ha precisato i requisiti per dedurre l'inammissibilità dell'appello in sede di legittimità.
La Suprema Corte ha affermato che la deduzione dell'inammissibilità dell'appello a norma dell'articolo 342 del Codice di Procedura Civile (integrante un error in procedendo, che legittima la Corte di Cassazione a esaminare direttamente gli atti) presuppone sempre l'ammissibilità del motivo di censura.

Questo motivo deve rispettare il principio di specificità di cui all'articolo 366, comma 1, numeri 4 e 6, del c.p.c. Tale principio deve essere interpretato in conformità alle indicazioni della sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) del 28 ottobre 2021 (causa Succi ed altri c/Italia), che richiede criteri di sinteticità e chiarezza. Ciò si realizza attraverso la trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d'interesse. Lo scopo è contemperare la necessità di semplificare l'attività del giudice di legittimità con la garanzia della certezza del diritto e della corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte e il diritto di accesso della parte a un organo giudiziario in misura tale da non comprometterne la sostanza.

Nel caso specifico esaminato dalla Cassazione, il ricorrente si era limitato a un generico rinvio all'atto di appello e non aveva spiegato per quali motivi o profili l'impugnazione della controparte avrebbe dovuto essere considerata inammissibile per violazione dell'articolo 342 c.p.c., rendendo la doglianza inammissibile.

Occupazione Illegittima: Prova Danno e Liquidazione
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Occupazione Illegittima: Prova Danno e Liquidazione

La Corte di Cassazione, con l'Ordinanza n. 2610 del 3 febbraio 2025, ha stabilito gli oneri probatori per il risarcimento del danno da occupazione senza titolo di un immobile.
La Suprema Corte ha precisato che, in caso di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, il proprietario che chiede il risarcimento del danno è tenuto ad allegare e provare specifici pregiudizi.

Per quanto riguarda il danno emergente (la perdita subita), il proprietario deve allegare la concreta possibilità di godimento perduta del bene. Per il lucro cessante (il mancato guadagno), deve indicare uno specifico pregiudizio subito, come la perdita di occasioni di vendere o locare il bene a un prezzo o canone superiore a quello di mercato. A fronte di una specifica contestazione del convenuto, il proprietario è chiamato a fornire la prova di questi pregiudizi, anche attraverso presunzioni o il richiamo a nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza.

La Corte ha ribadito che, qualora il danno da perdita subita non possa essere provato nel suo preciso ammontare, il giudice può liquidarlo con valutazione equitativa. In questi casi, un parametro utile per la liquidazione è il canone locativo di mercato, che può servire da riferimento per stimare il mancato guadagno del proprietario.

Titoli amministrativi responsabilità locatore se impossibili
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Titoli amministrativi responsabilità locatore se impossibili

La Corte di Cassazione, con l'Ordinanza n. 2791 del 4 febbraio 2025, ha delineato i casi in cui il locatore è responsabile per il mancato ottenimento di titoli amministrativi da parte del conduttore.

La Suprema Corte, in tema di locazione ad uso non abitativo, ha chiarito che il mancato conseguimento, da parte del conduttore, dei titoli amministrativi necessari allo svolgimento della sua attività imprenditoriale può generare responsabilità per il locatore in specifiche circostanze:

Se l'ottenimento di tali titoli è impossibile a causa delle caratteristiche intrinseche del bene locato. Ciò significa che l'immobile stesso presenta delle limitazioni strutturali o urbanistiche che impediscono l'attività del conduttore.
Se il locatore ha formalmente assunto l'impegno di conseguire tali titoli. In questo caso, la sua responsabilità deriva da un'obbligazione contrattuale esplicita.
Se, in virtù del principio della buona fede contrattuale, il locatore deve ritenersi comunque tenuto a collaborare con il conduttore, in quanto la sua fattiva partecipazione al corrispondente procedimento amministrativo è indispensabile per la realizzazione della causa contrattuale, desumibile dalla volontà negoziale delle parti. Si tratta di un obbligo implicito, derivante dalla necessità che il contratto raggiunga il suo scopo.
Nel caso specifico, la Cassazione ha cassato con rinvio la sentenza di risoluzione del contratto per inadempimento del locatore. La Corte territoriale non aveva adeguatamente evidenziato gli indici di fatto che avrebbero giustificato l'obbligazione, ex fide bona, del locatore di attivarsi per regolarizzare una trasformazione (da magazzino a laboratorio per la lavorazione della carne) compiuta abusivamente dal precedente conduttore, in una situazione in cui l'oggetto del contratto era indicato come "magazzino" in conformità alla previsione catastale.

Collegamento negoziale: nesso funzionale e intento unico
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Collegamento negoziale: nesso funzionale e intento unico

La Corte di Cassazione, con l'Ordinanza n. 2612 del 4 febbraio 2025, ha definito i criteri per la configurazione del collegamento negoziale e i limiti del sindacato di legittimità sulla sua valutazione.
La Suprema Corte ha chiarito che affinché si possa parlare di un collegamento negoziale in senso tecnico, che comporta la considerazione unitaria di più negozi, devono ricorrere due requisiti fondamentali:

Requisito Oggettivo: Esiste un nesso teleologico (funzionale) tra i negozi. Questi sono volti a regolare gli interessi reciproci delle parti all'interno di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale e unitario. In sostanza, i diversi contratti sono collegati perché mirano a raggiungere un unico scopo economico complessivo.

Requisito Soggettivo: C'è un comune intento pratico delle parti. Le parti non vogliono solo gli effetti tipici dei singoli negozi posti in essere, ma anche il loro coordinamento per la realizzazione di un fine ulteriore, che trascende gli effetti tipici di ciascun contratto e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale. Questo significa che le parti intendono che i contratti operino insieme per un obiettivo più ampio.

La Cassazione ha sottolineato che l'accertamento della natura, dell'entità, delle modalità e delle conseguenze del collegamento negoziale realizzato dalle parti rientra nei compiti esclusivi del giudice di merito. L'apprezzamento di quest'ultimo non è sindacabile in sede di legittimità, a condizione che sia sorretto da una motivazione congrua e immune da vizi logici e giuridici. In altre parole, la Corte di Cassazione non entra nel merito della valutazione, ma verifica solo la correttezza logica e giuridica del ragionamento del giudice inferiore.

Quando la vittima decede per cause non collegate lesione
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Quando la vittima decede per cause non collegate lesione

La Corte di Cassazione, con l'Ordinanza n. 2641 del 4 febbraio 2025, ha stabilito come quantificare il risarcimento per il danno alla salute spettante agli eredi quando la vittima decede per cause non collegate alla lesione.
La Suprema Corte ha chiarito che se una persona subisce un danno alla salute e, prima della conclusione del giudizio, decede per una causa non riconducibile alla menomazione subita a seguito dell'illecito, l'ammontare del risarcimento spettante agli eredi iure successionis (a titolo ereditario) deve essere parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato, e non a quella statisticamente probabile.

Questo significa che il danno va liquidato secondo il criterio della proporzionalità. Come punto di partenza, si prende il risarcimento che spetterebbe, a parità di età e percentuale di invalidità permanente, a una persona offesa che sia rimasta in vita fino alla fine del giudizio. Questa somma viene poi diminuita in proporzione agli anni di vita residua effettivamente vissuti dalla vittima.

La Cassazione ha indicato che un utile parametro equitativo per questa liquidazione è quello delle tabelle romane, strumenti giurisprudenziali utilizzati per la quantificazione dei danni non patrimoniali.

Danno da Morte: Limiti Risarcibilità Eredi
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Danno da Morte: Limiti Risarcibilità Eredi

La Corte di Cassazione, con l'Ordinanza n. 2635 del 4 febbraio 2025, ha chiarito la risarcibilità del danno per perdita anticipata della vita in caso di decesso del paziente prima dell'introduzione del giudizio.
La Suprema Corte ha stabilito che, se la vittima è già deceduta al momento in cui gli eredi avviano il giudizio, non è possibile, né logicamente né giuridicamente, riconoscere un danno da perdita anticipata della vita trasmissibile iure successionis (cioè ereditabile). Nell'attuale sistema di responsabilità civile italiano, il cosiddetto danno tanatologico (il danno legato alla morte in sé) non è risarcibile.

Tuttavia, è possibile risarcire, a titolo di diritto iure proprio degli eredi, il danno da perdita anticipata della vita, ma solo se definito come il pregiudizio da minor tempo vissuto ovvero da valore biologico relazionale residuo di cui non si è fruito, correlato al periodo di tempo effettivamente vissuto dal defunto.

In particolare, se il paziente è già deceduto all'introduzione della lite, sono alternativamente concepibili e risarcibili a titolo ereditario (se allegati e provati) i danni conseguenti:

a) Alla condotta del medico che ha causato la perdita anticipata della vita del paziente:
* come danno biologico differenziale (peggiore qualità della vita effettivamente vissuta), considerato nella sua oggettività;
* e come danno morale da lucida consapevolezza dell'anticipazione della propria morte, risarcibile solo dal momento in cui tale consapevolezza è stata acquisita in vita.

b) Alla condotta del medico che ha causato la perdita della possibilità di vivere più a lungo, configurabile come danno da perdita di chances di sopravvivenza.

In nessun caso sarà risarcibile iure successionis, e tanto meno cumulabile con i pregiudizi sopra menzionati, un danno da perdita anticipata della vita con riferimento al periodo di vita non vissuta dal paziente.

Spese legali: distrazione omessa, correzione
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Spese legali: distrazione omessa, correzione

La Corte di Cassazione, con l'Ordinanza n. 2706 del 4 febbraio 2025, ha stabilito che l'omessa pronuncia sull'istanza di distrazione delle spese va corretta con la procedura degli errori materiali.

La Suprema Corte ha affrontato il caso in cui il giudice ometta di pronunciarsi sull'istanza di distrazione delle spese proposta dal difensore. In assenza di una specifica indicazione legislativa sul rimedio esperibile, la Cassazione ha chiarito che la soluzione è il procedimento di correzione degli errori materiali, previsto dagli articoli 287 e 288 del Codice di Procedura Civile, e non gli ordinari mezzi di impugnazione. Questo perché la richiesta di distrazione delle spese non può essere qualificata come una domanda autonoma.

La Corte ha motivato questa scelta sottolineando che la procedura di correzione è più in linea con quanto disposto dall'articolo 93, comma 2, del c.p.c. (che si riferisce a essa quando la parte dimostra di aver già saldato il debito del difensore). Inoltre, tale procedura garantisce un migliore rispetto del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, consentendo al difensore distrattario di ottenere un titolo esecutivo più rapidamente.

Infine, la Cassazione ha evidenziato che questo rimedio è applicabile, ai sensi dell'articolo 391-bis del c.p.c., anche alle pronunce della stessa Corte di Cassazione, garantendo uniformità e celerità

Violenza Morale: Consenso Estorto, Prova Cruciale
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Violenza Morale: Consenso Estorto, Prova Cruciale

La Corte di Cassazione, con l'Ordinanza n. 2612 del 4 febbraio 2025, ha ribadito che la violenza morale, anche se non esplicita, deve mirare a estorcere il consenso per l'annullamento di un atto.
La Suprema Corte ha chiarito che la violenza morale può manifestarsi in forme diverse e non definite, anche in modo non esplicito, indeterminato o indiretto. Tuttavia, per essere rilevante ai fini dell'annullamento di un atto, è un requisito imprescindibile che la minaccia sia specificamente diretta a estorcere il consenso per l'atto di cui si chiede l'annullamento.

La valutazione della sussistenza di una minaccia di un male ingiusto e del rapporto di causalità tra questa minaccia e il compimento dell'atto impugnato, è un accertamento di fatto che rientra nella competenza esclusiva del giudice di merito. La sua decisione non è censurabile in sede di legittimità, a condizione che sia adeguatamente motivata.

Nel caso specifico, la Cassazione ha osservato che la Corte d'appello aveva esplicitato le ragioni per cui aveva ritenuto non soddisfatto l'onere probatorio relativo alla sussistenza della violenza morale. Tra le motivazioni, il fatto che la sentenza penale si fosse conclusa con l'estinzione del reato per prescrizione, l'assenza di rilievo in sede civile delle dichiarazioni delle parti lese (che agivano come attori), la mancata allegazione delle modalità con cui si sarebbe estrinsecata la violenza e del male ingiusto e notevole, e l'inidoneità della prova orale articolata dagli attori. La Suprema Corte ha ritenuto che non vi fosse alcuna violazione del "minimo costituzionale" della motivazione, qualificando la censura avverso la motivazione come un'inammissibile richiesta di rivalutazione del merito.

Separazione: Autonomia negoziale e divisione beni disuguale
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Separazione: Autonomia negoziale e divisione beni disuguale

La Corte di Cassazione, con l'Ordinanza n. 2546 del 3 febbraio 2025, ha stabilito che, una volta sciolta la comunione legale a seguito di separazione consensuale, le parti hanno piena autonomia negoziale nel disciplinare gli aspetti economico-patrimoniali.
Secondo la Suprema Corte, l'accordo di separazione omologato consente alle parti di disporre liberamente dei beni in comunione, al fine di regolare i loro rapporti economici. Questo significa che possono prevedere una ripartizione del bene immobile in comunione legale per quote non egalitarie nell'ambito delle reciproche attribuzioni patrimoniali, in vista della successiva divisione. Tale disposizione è considerata valida e non rientra in alcuna ipotesi di nullità, purché non riguardi gli obblighi ex lege in relazione alla prole, per i quali l'autonomia delle parti incontra specifici limiti. In sostanza, per i beni non legati al mantenimento dei figli, la volontà delle parti prevale.

Consenso cure minore: giudice tutelare decide
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Consenso cure minore: giudice tutelare decide

La Corte di Cassazione, con l'Ordinanza n. 254 del 3 febbraio 2025, ha stabilito la competenza in caso di disaccordo genitoriale sulle cure mediche del minore.
Secondo la Suprema Corte, in materia di trattamento sanitario del minore, se il medico ritiene le cure appropriate e necessarie ma manca il consenso dei genitori, la procedura corretta da seguire è presentare un ricorso al giudice tutelare per l'autorizzazione, ai sensi dell'articolo 3 della legge n. 219 del 2017.

Non è invece l'istanza di sospensione o limitazione della responsabilità genitoriale da proporre al tribunale per i minorenni. Quest'ultima è ammissibile solo se sono presenti altre condotte pregiudizievoli, come indici di trascuratezza o di abuso, che giustifichino un intervento più incisivo sulla responsabilità genitoriale. In assenza di tali ulteriori condotte, per il solo dissenso sulle cure mediche, la via da seguire è quella del giudice tutelare, che valuterà il miglior interesse del minore in relazione al trattamento proposto.